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Come molte altre religioni, il Dorato Elisir della Vita di Muad’Dib degenerò in pura stregoneria esteriore. I suoi segni mistici diventarono semplici simboli per più profondi processi psicologici, e questi processi, naturalmente, sfuggirono a ogni controllo. Ciò di cui avevano bisogno era un dio vivente, ed essi non l’avevano. Una situazione alla quale il figlio di Muad’Dib ha posto rimedio.

 

– Dichiarazione attribuita a Lu Tung-pin
 (Lu, l’Ospite della Caverna)

 

 

Leto sedeva sul trono del Leone per accettare l’omaggio delle tribù. Ghanima era in piedi accanto a lui, un gradino più in basso. La cerimonia nella Grande Sala durò per ore. Una tribù Fremen dopo l’altra, rappresentate dai propri delegati e dai loro Naib, sfilarono davanti a lui. Ogni gruppo recava doni adatti a un dio dai poteri terrificanti, un dio della vendetta che prometteva loro la pace.

La settimana precedente egli li aveva indotti a sottometterglisi, esibendosi davanti agli arifa di tutte le tribù. I Giudici l’avevano visto attraversare a piedi un pozzo infuocato, emergendone indenne, e lui aveva chiesto che l’esaminassero da vicino per constatare come la sua pelle non avesse subìto il minimo danno. Aveva ordinato che vibrassero su di lui violenti fendenti con i loro pugnali, e la pelle impenetrabile si era fulmineamente protesa a coprirgli il viso, mentre i cryss colpivano invano. Gli acidi corrosivi erano scorsi sul suo corpo sollevando appena leggeri sbuffi di vapore. Leto aveva trangugiato i loro più potenti veleni e aveva riso di loro. Alla fine aveva chiamato un verme e l’aveva fronteggiato, davanti a tutti loro, in piedi, immobile, sfidando la bocca spalancata. E aveva poi raggiunto il campo di atterraggio di Arrakeen, dove con irriverente facilità aveva rovesciato una fregata della Gilda semplicemente afferrandola per una delle pinne d’atterraggio.

Gli arifa avevano riferito tutto questo, sbigottiti, e ora i delegati delle tribù erano prontamente accorsi a confermare solennemente la loro sottomissione.

Il grande soffitto a volta della sala assorbiva i rumori più intensi, ma il costante frusciare dei piedi in movimento s’insinuava nei sensi, mescolandosi all’odore della polvere e della roccia sbriciolata portati dall’esterno.

Jessica, che si era rifiutata di partecipare ufficialmente, osservava l’intera scena da uno spioncino situato in alto, dietro il trono. Stava riflettendo su Farad’n, e sul modo in cui sia lei che Farad’n erano stati sopraffatti su tutta la linea. Era ovvio che Leto e Ghanima avevano previsto i piani della Sorellanza! I gemelli potevano consultare dentro di sé un’intera legione di Bene Gesserit, un numero ben più grande di tutte le Reverende Madri che, ora, erano vive e attive nell’Impero!

L’amareggiava soprattutto il modo in cui la mitologia della Sorellanza aveva intrappolato Alia. Paura nata e potenziata a livelli insopportabili dalla stessa paura! Il destino dell’Abominazione implacabilmente impresso su di lei da una spietata tradizione. Alia non aveva conosciuto alcuna speranza. Inevitabile, quindi, che fosse sopraffatta. Il suo destino faceva sì che fosse ancora più difficile sopportare il successo di Leto e Ghanima. Poiché – in realtà – vi sarebbe sempre stato un modo di uscire dalla trappola… anzi, due! La vittoria di Ghanima sulle sue vite interiori e il suo insistere che Alia meritava soltanto pietà erano le maggiori fonti di amarezza. La soppressione ipnotica sotto stress e il valido appoggio di un antenato benigno (sua madre) avevano salvato Ghanima. Avrebbero potuto salvare anche Alia. Ma Alia aveva perduto ogni speranza, e niente era stato tentato finché non era stato troppo tardi. L’acqua di Alia era stata versata sulla sabbia…

Jessica sospirò e tornò a fissare Leto seduto sul trono. Un gigantesco vaso di vetro, simile a un baldacchino di cristallo, contenente l’acqua di Muad’Dib, occupava il posto d’onore alla sua destra. Leto si era vantato con Jessica che suo padre, dentro di lui, aveva riso di quel gesto, pur ammirandolo. Questo vantarsi, e il vaso, erano stati appunto i motivi che avevano rafforzato la determinazione di Jessica a non partecipare alla cerimonia. Lei sapeva che, finché fosse vissuta, non avrebbe potuto accettare che Paul parlasse per bocca di Leto. Jessica si rallegrava che la Casa degli Atreides fosse sopravvissuta, ma il prezzo pagato andava ben oltre la sua sopportazione.

Farad’n sedeva a gambe incrociate accanto al grande vaso con l’acqua di Muad’Dib. Era la posizione dello Scriba Reale, un onore conferito di recente, e di recente accettato.

Farad’n sentiva, dentro di sé, che si stava adattando bene a quella nuova realtà, anche se Tyekanik era ancora infuriato e minacciava orribili conseguenze. Tyekanik… e Stilgar: ambedue si erano in un certo senso alleati nel sospetto, e il fatto sembrava divertire Leto.

Durante le lunghe ore di quella cerimonia di omaggio, Farad’n era passato dalla meraviglia alla noia e poi nuovamente alla meraviglia. Quegli impareggiabili guerrieri erano un inesausto torrente di autentica umanità. La fedeltà che rinnovavano all’Atreides seduto sul trono non poteva esser messa in dubbio. Essi venivano avanti e si arrestavano di fronte a lui esternandogli il loro terrorizzato omaggio, sbigottiti da ciò che gli arifa avevano riferito.

Finalmente la cerimonia giunse alla conclusione. L’ultimo Naib si fermò di fronte a Leto: era Stilgar, nella «posizione d’onore della retroguardia». Invece di panieri ricolmi di spezia, gemme di fuoco o altri doni costosi che giacevano a mucchi intorno al trono, Stilgar portava in omaggio una benda frontale di fibra di spezia. Il Falco degli Atreides era stato ricamato in verde e oro nella trama.

Ghanima la riconobbe e lanciò un’occhiata obliqua a Leto.

Stilgar depose la benda sul secondo gradino del trono, e s’inchinò profondamente. – A te la benda che tua sorella portava sulla fronte quando la feci venire con me nel deserto per proteggerla, – disse.

Leto dissimulò un sorriso.

– So che hai vissuto momenti difficili, Stilgar, – disse. – C’è qualcosa, qui, che vorresti in cambio? – Indicò con la mano i doni costosi che si ammucchiavano intorno a lui.

– No, mio Signore.

– Accetto il tuo dono, allora, – Leto si piegò in avanti, afferrò l’orlo della veste di Ghanima, ne strappò via una striscia sottile. – In cambio, io ti dò questo lembo della veste di Ghanima… la veste che indossava quando fu rapita dal tuo accampamento nel deserto, costringendomi a salvarla.

Stilgar accettò il frammento di tessuto con mano tremante. – Ti prendi gioco di me, mio Signore?

– Prendermi gioco di te? Sul mio onore, Stilgar, non mi prenderei mai gioco di te. Ti ho dato un dono senza prezzo. Ti ordino di portarlo vicino al tuo cuore, perché tu ricordi sempre che tutti gli esseri umani sono pronti a commettere errori, e che tutti i capi sono esseri umani.

Un fugace sorriso aleggiò sulle labbra di Stilgar: – Quale Naib saresti stato!

– Quale Naib io sono! Naib dei Naib. Non dimenticarlo mai!

– Come dici tu, mio Signore. – Stilgar deglutì, ricordando ciò che gli aveva riferito il suo arifa. E pensò: Un giorno pensai di trucidarlo. Ora è troppo tardi. Il suo sguardo cadde sul grande vaso, d’una piacevole sfumatura dorata che dava sul verde. – Quella è acqua della mia tribù.

– E anche mia, – replicò Leto. – Ti ordino di leggere l’iscrizione sul fianco. Leggila a voce alta perché tutti possano sentirla.

Stilgar rivolse un’occhiata interrogativa a Ghanima, ma lei si limitò a rispondere drizzando il mento, una reazione gelida che lo fece rabbrividire. Quei due piccoli demoni Atreides erano forse decisi a fargli pagare le sue impetuosità e i suoi errori?

– Leggi, – tornò a intimargli Leto, indicandogli la scritta.

Lentamente Stilgar salì i gradini, e si curvò sul vaso. Lesse, a voce alta: – «Quest’acqua è l’essenza suprema, una sorgente di creatività proiettata verso l’esterno. Anche se appare immobile, quest’acqua è il tramite di ogni movimento.»

– Che cosa significa, mio Signore? – bisbigliò Stilgar. Quelle parole l’avevano soggiogato, toccando qualcosa nel suo intimo che non riusciva a identificare.

– Il corpo di Muad’Dib è un guscio secco, come quello abbandonato da un insetto, – disse Leto. – Egli seppe dominare il mondo interiore, disprezzando allo stesso tempo quello esteriore, e ciò condusse alla catastrofe. Egli seppe dominare il mondo esteriore escludendo allo stesso tempo quello interiore, e ciò facendo consegnò i suoi discendenti ai demoni. L’Elisir Dorato scomparirà da Dune, eppure il seme di Muad’Dib sopravviverà e la sua acqua muoverà il nostro universo.

Stilgar chinò la testa. Questi discorsi mistici lo mettevano sempre in agitazione.

– L’inizio e la fine sono una cosa sola, – proseguì Leto. – Tu vivi nell’aria ma non la vedi. Una fase si è chiusa. Da ciò, s’inizia ora il suo opposto. Così noi avremo Kralizec. Tutto ritorna, anche se in forma cambiata. Tu hai sentito i pensieri nella tua testa: i tuoi discendenti li sentiranno nei loro ventri. Torna a Sietch Tabr, Stilgar. Gurney Halleck ti raggiungerà laggiù come mio rappresentante nel tuo Consiglio.

– Non ti fidi di me, mio Signore? – Stilgar replicò a voce bassa.

– Mi fido completamente, altrimenti non avrei mandato Gurney da te. Egli comincerà a reclutare la nuova milizia di cui avremo presto bisogno. Accetto il tuo voto di fedeltà, Stilgar. Sei congedato.

Stilgar s’inchinò profondamente, discese a ritroso i gradini, si voltò e lasciò la sala. Gli altri Naib gli si accodarono, secondo il principio Fremen che «l’ultimo sarà il primo». Ma l’intrecciarsi delle loro domande continuò a udirsi dal trono finché non furono tutti usciti:

– Di che cosa avete parlato lassù, Stil?… Che cosa significano quelle sue parole sull’acqua di Muad’Dib?

Leto si rivolse a Farad’n: – Hai registrato tutto, Scriba?

– Sì, mio Signore.

– Mia nonna mi ha detto che ti ha ottimamente addestrato nei procedimenti mnemonici del Bene Gesserit. Ciò è bene. Non voglio vederti scribacchiare accanto a me.

– Come tu ordini, mio Signore.

– Alzati e mettiti in piedi di fronte a me, – ordinò Leto.

Farad’n obbedì, più che mai grato per l’addestramento ricevuto da Jessica. Quando si accettava il fatto che Leto non era più un essere umano, che non poteva pensare più come un uomo, lo svolgersi implacabile del suo Sentiero Dorato diventava ancora più spaventevole.

Leto alzò lo sguardo su Farad’n. Le guardie si tenevano bene indietro, fuori della portata di ascolto. Soltanto i Consiglieri della Presenza Interiore erano rimasti nella Grande Sala, e sostavano reverentemente in gruppo ben lontani dal primo gradino. Ghanima si era avvicinata, appoggiando un braccio sullo schienale del trono.

– Non hai acconsentito a concedermi i tuoi Sardaukar, – esclamò Leto, – ma lo farai.

– Ti devo molto, – replicò Farad’n, – ma non questo.

– Pensi che sarà difficile, per loro, intendersi con i miei Fremen?

– Tutt’altro. Non hai visto quanto sono diventati amici Stilgar e Tyekanik?

– E nondimeno rifiuti?

– Aspetto la tua offerta.

– Così, devo farti un’offerta, e subito? Davvero, mi auguro che mia nonna abbia fatto bene la sua parte, e che tu sia preparato a capire.

– Capire… che cosa?

– C’è sempre una mistica che prevale su ogni altra cosa, in ogni civiltà, – spiegò Leto. – Si autoedifica come una barriera contro ogni cambiamento. Ciò contribuisce, infallibilmente, a lasciare le generazioni future impreparate ad affrontare le perfidie dell’universo. Qualunque mistica si equivale, quando si tratta di edificare simili barriere – che sia una mistica religiosa, la mistica del capo-eroe, della scienza-e-tecnologia, perfino la mistica della natura. Noi viviamo in un Impero che è stato plasmato su una mistica di questo tipo, e ora questo Impero sta crollando perché la maggior parte della gente non sa distinguere fra la sua mistica e l’universo reale. Vedi, la mistica è come esser posseduti dal demonio: tende a sostituire, per chi ne è invasato, i sensi, la coscienza, tutto.

– Riconosco la saggezza di tua nonna in queste parole, – dichiarò Farad’n.

– Molto bene, cugino. Lei mi ha chiesto se io ero un’abominazione. Le ho risposto di no. È stata la mia prima slealtà. Capisci, Farad’n? Ghanima è riuscita a sfuggirvi, io no. Io sono stato costretto ad accogliere le mie vite interiori sotto la pressione indotta dall’eccesso di melange. Ho dovuto accettare la collaborazione attiva di quelle vite risvegliatesi dentro di me. Ho respinto, però, quelle più malevole, scegliendo un protettore dominante impostomi da mio padre. Ma io, in realtà, non sono né mio padre, né questo protettore. E non sono neppure il Secondo Leto.

– Spiegati.

– Sei di una sincerità ammirevole, – commentò Leto. – Io sono una comunità di vite dominata da un essere incredibilmente antico e potente. Egli diede origine a una dinastia che durò tremila dei nostri anni. Il suo nome era Harum e, fino al giorno in cui la sua stirpe degenerò in un accumularsi di debolezze congenite e di superstizioni, i suoi sudditi vissero in una sublime armonia. Essi seguivano spontaneamente il ritmico mutare delle stagioni. Essi generavano individui che tendevano ad avere vita breve, superstizioni, ed erano facilmente governabili da un dio-re. Ma presi nell’insieme, erano un popolo potente. La loro sopravvivenza come specie divenne un fatto normale, ovvio.

– È una musica che non mi piace, – dichiarò Farad’n.

– E non piace neanche a me, a dire il vero, – replicò Leto. – Ma è l’universo che creerò.

– Perché?

È una lezione che ho appreso su Dune. Noi abbiamo mantenuto la presenza della morte come uno spettro dominatore fra i viventi di questo mondo. Tramite questa presenza incombente, i morti hanno cambiato i vivi. La gente di una società cosiffatta sprofonda dentro di sé, nei propri visceri. Ma quando il procedimento s’inverte, quand’essi risalgono, eccoli riapparire grandi e belli.

– Ciò non risponde alla mia domanda, – protestò Farad’n.

– Non ti fidi di me, cugino.

– E neanche tua nonna si fida.

– Con ottime ragioni, – rispose Leto. – Ma lei acconsente perché deve farlo. In fondo, le Bene Gesserit sono pragmatiche. Io condivido la loro visione del nostro universo, sai? Tu porti i segni di questo universo. Tu sei tuttora impregnato della tipica mentalità di chi governa, classificando tutto ciò che ti circonda in termini di possibili minacce o vantaggi che può rappresentare.

– Ho acconsentito ad essere il tuo scriba.

– L’hai giudicato un fatto divertente e una lusinga al tuo vero talento, che è quello dello storico. Tu sei senz’altro un genio nell’interpretare il presente in termini di passato. Sei riuscito a precedermi in molte occasioni.

– Non mi piacciono queste tue velate insinuazioni, – ribatté Farad’n.

– Appunto. Tu sei precipitato da un’ambizione infinita alla tua presente condizione degradata. Ma… mia nonna non ti ha messo in guardia contro l’infinito? Esso ci attrae come un faro nella notte, ma ci abbaglia, e giunge ad accecarci, travolgendo il nostro Io limitato.

– Un aforisma alla Bene Gesserit! – protestò Farad’n.

– Ma assai più preciso, – ribatté Leto. – Le Bene Gesserit hanno creduto di poter prevedere il corso dell’evoluzione. Ma hanno trascurato il fatto che anch’esse sarebbero cambiate nel corso di quell’evoluzione. Hanno presupposto che sarebbero sempre rimaste identiche a se stesse, mentre il loro programma genetico si evolveva. Io non sono vittima di questa cecità per quanto mi concerne. Guardami attentamente, Farad’n, perché io non sono più un essere umano.

– Così mi garantisce tua sorella. – Farad’n esitò. Poi: – Abominazione?

– Secondo la definizione della Sorellanza, forse. Harum è crudele e autocratico. Io condivido la sua crudeltà. Ascolta bene ciò che ora ti dico: io ho la crudeltà del domatore di belve, e questo universo umano è il mio serraglio. Un tempo i Fremen tenevano le aquile addomesticate come animali da salotto. Io invece terrò un Farad’n addomesticato.

Il volto di Farad’n si oscurò. – Guardati dai miei artigli, cugino. So bene che i miei Sardaukar finirebbero per soccombere di fronte ai tuoi Fremen. Ma riusciremmo ugualmente a infliggerti gravi ferite, e vi sono sciacalli che aspettano di colpire il più debole.

– Ti userò nel migliore dei modi, questo ti prometto, – dichiarò Leto. Si sporse in avanti. – Non ti ho forse detto che non sono più umano? Credimi, cugino: non discenderanno figli dai miei lombi, poiché io non ho più lombi. E questo mi spinge alla seconda slealtà.

Farad’n attese in silenzio, cogliendo finalmente lo scopo del discorso di Leto.

– Andrò contro ogni precetto dei Fremen, – proseguì Leto. – Essi accetteranno, poiché non possono far altro. Io ti ho trattenuto qui con la lusinga di un fidanzamento, ma non ci sarà alcun fidanzamento fra te e Ghanima. Mia sorella sposerà me!

– Ma tu…

– Sposerà me, ho detto. Ma Ghanima deve continuare la stirpe degli Atreides. E c’è inoltre la questione del programma genetico del Bene Gesserit che è adesso anche il mio programma genetico.

– Mi rifiuto! – esclamò Farad’n.

– Ti rifiuti di procreare una dinastia Atreides?

– Quale dinastia, se tu occuperai il trono per migliaia di anni?

– E plasmerò i tuoi discendenti a mia immagine. Sarà il più intenso ed esauriente programma di addestramento di tutta la storia. Noi saremo un completo ecosistema in miniatura. Capisci? Qualunque ecosistema una specie animale scelga per sopravvivere, esso dev’essere basato su una struttura di comunità interdipendenti le quali lavorino insieme armonizzandosi in un disegno più ampio. E il mio sistema plasmerà i migliori, i più esperti sovrani che la storia abbia mai visto.

– Usi parole scelte con cura per descrivere il più ripugnante…

– Chi riuscirà a sopravvivere a Kralizec? – domandò Leto. – Perché, ti garantisco, Kralizec verrà.

– Tu sei pazzo! Tu distruggerai l’Impero!

– Certo che lo farò… Io non sono più un uomo, ma creerò una nuova coscienza in tutti gli uomini. Io ti dico che sotto il deserto di Dune esiste un luogo segreto che nasconde il più grande tesoro di tutti i tempi. Io non mento. Quando l’ultimo verme morrà e l’ultimo melange sarà stato raccolto dalla nostra sabbia, questi tesori profondi zampilleranno attraverso il nostro universo. Man mano il potere dato dal monopolio della spezia si estinguerà, e le riserve nascoste finiranno, nuovi poteri compariranno dovunque nel nostro regno. È tempo che gli esseri umani imparino nuovamente a vivere dei propri istinti.

Ghanima tolse il braccio dallo schienale del trono, si portò al fianco di Farad’n, gli afferrò una mano.

– Come mia madre non era moglie, tu non sarai marito, – disse Leto. – Ma forse ci sarà amore, e questo basterà.

– Ogni giorno, ogni istante porta il suo cambiamento, – dichiarò Ghanima. – S’impara a riconoscere questi momenti.

Farad’n sentì il calore della minuscola mano di Ghanima come una presenza insistente, impossibile a ignorarsi. Riconobbe l’insistenza persuasiva delle argomentazioni di Leto, ma non una sola volta era stata usata la Voce. Era un appello ai suoi visceri, non una violenza alla sua mente.

– È questo che mi offri, per i miei Sardaukar? – chiese Farad’n.

– Molto, molto di più, cugino. Offro ai tuoi discendenti l’Impero. Ti offro la pace.

– Quale sarà il risultato della tua pace?

– Il suo opposto, – replicò Leto, con voce calma e beffarda.

Farad’n scosse la testa: – Trovo molto pesante il prezzo per i miei Sardaukar. Dovrò rimanere Scriba, il padre segreto della tua stirpe regale?

– Dovrai.

– Cercherai di costringermi ad accettare la tua personale versione della pace?

– Lo farò.

– Ti resisterò ogni giorno della mia vita.

– Ma è questo, appunto, che mi aspetto da te, cugino. Questa sarà la tua funzione. Per questo ti ho scelto. E la renderò ufficiale. Ti darò un nuovo nome: da questo momento, tu sarai chiamato il Perturbatore dell’Assuefazione, che nella nostra lingua suona Harq al-Ada. Suvvia, cugino, non essere ottuso. Mia nonna ti ha istruito bene. Concedimi i tuoi Sardaukar.

– Daglieli, – gli fece eco Ghanima. – Li avrà, in un modo o nell’altro.

Farad’n colse nella voce di Ghanima un vivo timore per lui. Amore, dunque? Leto non chiedeva freddi ragionamenti logici, ma un balzo intuitivo. – Prendili, – disse Farad’n.

– Certamente, – replicò Leto. Si alzò dal trono, un movimento curiosamente fluido, come se tenesse i suoi terribili poteri sotto il più attento controllo. Poi Leto discese i gradini finché non fu accanto a Ghanima, obbligò il corpo di lei a ruotare lentamente, finché Ghanima non guardò in direzione opposta, poi a sua volta Leto si girò e appoggiò la propria schiena contro quella della sua gemella. – Osserva, cugino Harq al-Ada. Questo è il modo in cui noi saremo sempre. Questa sarà la nostra posizione quando saremo sposati. Schiena contro schiena, ciascuno con gli occhi puntati dietro le spalle dell’altro, per proteggere l’entità che siamo sempre stati. – Si voltò, fissò beffardamente Farad’n, abbassò la voce: – Ricorda questo, cugino, quando sarai faccia a faccia con Ghanima. Ricordati di questo quando le parlerai teneramente d’amore, quando sarai più esposto alla tentazione di adagiarti, spinto dall’abitudine, nella mia pace e nella soddisfazione che essa potrà darti. La tua schiena, in quegli istanti, resterà scoperta.

Si allontanò da loro, scendendo gli ultimi gradini e raggiungendo i cortigiani in attesa, e uscì dalla sala attirandoli nella sua scia come satelliti.

Ancora una volta Ghanima prese la mano di Farad’n, ma il suo sguardo restò fisso a lungo oltre la grande porta della sala, quando ormai Leto da tempo era scomparso. – Uno di noi due doveva accettare il dolore, – commentò, – e lui è sempre stato il più forte.

 

 

 

FINE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Carta di Dune

 

 

Note cartografiche

 

 

Base per la longitudine-, il meridiano che attraversa la Montagna Osservatorio.

Base per l’altitudine: il Grande Bled.

Depressione polare: 500 metri al di sotto del livello del Bled.

 

Carthag: circa a 200 chilometri a nordest di Arrakeen.

Grotta degli Uccelli: nella Catena di Habbanya.

Piana dei morti: la più grande distesa di dune sabbiose.

Grande Bled: uno sterminato deserto piatto, in contrasto con le dune sabbiose. Questo deserto si estende dai 60° di latitudine nord ai 70° sud. È soprattutto sabbia e roccia, con rari affioramenti dello strato basaltico.

Grande Distesa: un’ampia depressione di dune e di roccia. Si trova a un livello inferiore di 100 metri a quello del Bled. In qualche punto della Grande Distesa si trova il bacino (pan) salato scoperto da Pardot Kynes (padre di Liet-Kynes). Affioramenti rocciosi (200 m. di altezza) fino alle comunità sietch indicate a sud del Sietch Tabr.

Passo di Harg: l’Altare del Teschio di Leto domina questo passo.

Vecchio Crepaccio: una fenditura nel Muro Scudo di Arrakeen, allargata da un’esplosione atomica per volontà di Paul Muad’Dib.

Palmeti del Sud: non compaiono su questa carta. Si trovano a circa 40° di latitudine sud.

Crepaccio Rosso: a 1582 metri sotto il livello dèi Bled.

Scarpata Ovest: un’enorme scarpata (4600 m.) al di sopra del Muro Scudo di Arrakeen.

Passo del Vento: circondato da pareti rocciose, si apre sui villaggi del sink.

Linea dei Vermi: indica i punti più a nord nei quali sono stati trovati i vermi. (Il fattore determinante è l’umidità, non la temperatura).

 

 

 

 

 

 

I figli di Dune
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